Scrivere al giorno d’oggi di stress nello sport, non è facile.
Il rischio è quello di trovarsi a dire di cose e concetti ormai già ampiamente trattati.
Lo stress, infatti, è un argomento che è stato sviscerato nel corso degli anni da ogni punto di vista: fisico, chimico, mentale ed emotivo.
Basta digitare la parola “stress” su Google per vedere apparire la bellezza di 1.170.000.000 di risultati.
Definizioni, articoli, video, ricerche scientifiche, tecniche di gestione, ecc…
D’altronde…
Chi non ha mai sperimentato o affrontato nella propria vita uno o più momenti di stress?
Quei momenti in cui senti un peso insopportabile sulle spalle, nella testa, nello stomaco?
Chi non ha mai cercato un rimedio per non sentire più queste sensazioni così opprimenti?
Purtroppo, anche lo sport e gli atleti, non sono immuni da tutto questo.
Proprio lo sport, che moltissimi esperti consigliano come uno dei principali rimedi allo stress, quando praticato a certi livelli diventa l’ambito preferito in cui lo stress trova terreno fertile per fare i danni maggiori.
Non mi riferisco solamente all’ambito professionistico, dove entrano in gioco fattori altamente stressanti come il denaro e tutto il circuito massmediatico fortemente dipendente da esso.
Mi riferisco soprattutto a quella condizione purtroppo molto comune in cui vengono riposte nello sport e negli atleti, in particolare quelli più giovani, aspettative altissime.
Quale è lo scenario reale?
Giovani che fin dai primi anni di attività, vengono sottoposti ad una pressione così elevata che può portarli presto a vivere situazioni di vera oppressione.
In molti casi con intensità superiore rispetto ad un adulto.
Oppressione, che nasce e che viene alimentata, proprio da chi invece dovrebbe fare il massimo per proteggere il giovane da situazioni ed atteggiamenti potenzialmente pericolosi.
Penso al caso di tutti quei genitori che vedono nel proprio figlio o figlia, il futuro campione o fuoriclasse di domani.
Genitori che proiettando le loro altissime aspettative sui propri figli, non fanno altro che spingerli verso quei “demoni interiori” dai quali tutti vorremmo tanto fuggire.
Paura di non riuscire e di non essere all’altezza.
Timore del giudizio e di non essere abbastanza.
Paura dell’abbandono.
E che portano il giovane (n.b. capita anche alle persone adulte), verso la ricerca di approvazione degli altri.
Nel caso specifico, il bambino o il giovane, vive nella continua e costante ricerca di approvazione dei genitori.
Nella maggioranza dei casi del genitore dello stesso sesso, che esercita su di lui queste pressanti aspettative.
Perché in questo modo, è convinto che sarà sempre meritevole dell’amore del genitore, che così tanto fa per lui.
Crede che se, “sarà sempre il bravo bambino che fa la cosa giusta” o “sarà sempre lo sportivo che ottiene ottimi risultati”, tutti lo ameranno.
Ma a quale prezzo?
Un prezzo molto alto, pagato in termini di propria felicità, realizzazione e consapevolezza della persona che sente di essere veramente.
Il giovane che si ritrova suo malgrado a vivere situazioni e condizioni simili, potrà ritrovarsi presto o tardi, spesso da adulto, a definirsi ed identificarsi solamente attraverso i risultati che ottiene o non ottiene nella propria vita.
E non solo in ambito sportivo: ma anche lavorativo e relazionale.
Vivrà continuamente proiettato nel “fare”, dimenticandosi di “essere”.
Sarà continuamente proiettato nel raggiungimento di “qualcosa”, non apprezzando quello che ha già.
Si sentirà continuamente perso nel “futuro”, non riuscendo a godere a pieno del “momento presente”.
Quanto più veniamo educati e cresciuti “attaccati” ad un risultato, sia esso un voto scolastico, uno status sociale o un risultato sportivo, tanto più si insinuerà dentro di noi la credenza che il nostro reale valore è definito solo in base ai risultati che siamo capaci di produrre.
Correndo seriamente il rischio di far parte dell’“esercito infelice di persone”, che ricercano continuamente la felicità al di fuori di sé stesse.
Cosa possiamo fare?
Più impariamo a vivere “staccati” da un risultato, qualsiasi esso sia, tanto più crescerà dentro di noi la convinzione che siamo qualcosa di più di un numero, di un titolo o di una vittoria.
Se impariamo a vivere nel “qui ed ora”, nel “momento presente”, nel “flow”, sentendo la felicità dentro di noi, allontaniamo la possibilità di finire in pasto alla pressione, oppressione, stress, paura di non riuscire, paura di non essere all’altezza, paura del giudizio, paura di non essere abbastanza, paura dell’abbandono.
Più facciamo del nostro meglio per stimolare il giovane o la giovane, a sentire dentro di sé la propria vera natura, a tirare fuori il proprio reale valore, evitando di proiettare su di lui o lei le nostre aspettative o frustrazioni, tanto più lo o la aiuteremo ad essere una persona capace di sentirsi pienamente libera di vivere concretamente la propria felicità e realizzazione.
Solamente per il piacere di “essere”.