Durante gli incontri con i ragazzi, è emersa più volte la loro totale insoddisfazione nei confronti di coloro i quali sono chiamati ad aiutarli nel loro percorso di crescita.
I ragazzi sentono e percepiscono un divario, un “gap”, che non è solo generazionale.
Percepiscono da parte loro, una sorta di “gap sentimentale”.
È questione di approccio.
Un approccio al mondo dei giovani che spesso è vissuto come rigido, superficiale, distaccato.
Questo non fa altro che alimentare sempre di più la spaccatura, ottenendo come risultato quello di creare una relazione (o non-relazione) che avviene su piani troppo squilibrati per poter essere davvero funzionale.
Spesso ho sentito in loro la tristezza, la frustrazione, nel non sentirsi compresi e capiti davvero.
Ma come possiamo comprenderli davvero se quando loro provano a comunicare o relazionarsi con noi, siamo ben piantati sul nostro piedistallo?
Allora, perché non provare a cambiare approccio?
Perché non proviamo a focalizzarci solo su di loro, invece di essere totalmente immersi nel nostro ruolo?
Basta davvero poco, a volte, per farlo.
Basta “solo” fare la domanda “giusta” al “momento giusto”, per riuscire a sintonizzarci ed entrare in connessione con loro.
E al tempo stesso aiutarli a scalfire una piccola grande barriera che impedisce di esprimere la loro vera essenza interiore.
Proviamo a sentirli e percepirli sulla pelle, con il cuore, per chi sono e non per chi noi vorremmo che fossero.
Dedichiamo del tempo a sentire e percepire che cosa davvero tengono nascosto dentro, magari per paura di essere giudicati.
Incoraggiamoli a sentire e percepire i loro talenti, che attendono solo di essere riconosciuti, rivelati e portati alla luce del mondo.
Impariamo a sentire e percepire le loro ferite, che magari sono anche le nostre ferite.
Senza giudizio, “giusto o sbagliato”, “bianco o nero”. “fai così, fai cosà”.
Restando in totale accettazione ed accoglienza.
E sono certo che, nell’aiutare loro a scoprirsi, crescere ed evolversi, potremo aiutare anche noi stessi.